Si discute oggi al Tar il ricorso presentato da duecento esponenti della cultura italiana contro la decisione dei commissari Siae di chiudere il Fondo di Solidarietà, unica tutela per la vecchiaia degli autori.
Per drammaturghi, compositori, sceneggiatori, autori di tutto l’audiovisivo, autori di canzoni, e scrittori, cioè la fonte principale del nostro immaginario e spina dorsale dell’industria culturale del paese, non è prevista alcuna pensione da parte dello Stato.
Pertanto, sin dal dopoguerra, all’interno della Siae, gli autori avevano creato un fondo privato (detto non a caso di Solidarietà), alimentato con parte dei proventi dei loro diritti, a prescindere dai guadagni e dal successo sul mercato.
Hanno perciò chiuso il Fondo, che oggi ammonta a un capitale di 90 milioni di euro, messo fine alla solidarietà tra soci Siae, lasciato all’asciutto i mille autori che avevano costituito con i propri soldi quel capitale, ridotto in miseria centinaia di anziani, rimettendo ogni soluzione a una futura legge per la pensione degli autori che deve però essere ancora pensata.
In armonia con la decisione dei commissari sono i ministeri vigilanti, il governo Monti (che approvando il nuovo statuto ha ratificato tale decisione), e lo stesso Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che non ha mai risposto all’appello firmato da Scola, Lizzani, Maraini e altre centinaia di autori